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[09/03/2016]Guerra dei marchi per il neologismo «petaloso»

Sembrava una favola da libro cuore: il bimbo di terza elementare che per errore inventa un aggettivo da Pulitzer, la maestra sagace che lo intuisce e lo porta alla gloria mediatica, il miraggio di un ritorno economico con cui far del bene alla comunità, in un paesino dimenticato nella nebbiosa pianura estense. Invece la storia di “petaloso” – il neologismo creato da Matteo, terza elementare delle scuole Marchesi di Copparo (Ferrara) e riconosciuto, su istanza della sua insegnante Margherita, dall’Accademia della Crusca quale “parola bella e chiara” – rischia di perdere il lieto fine per strada. Sia per un clamore mediatico che ha montato una vicenda di interessi economici inesistente sia per una guerra tra marchi registrati dello stesso termine petaloso, su cui è probabile dovrà esprimersi prima o poi un tribunale. Perché per l’Ufficio italiano brevetti e marchi (Uibm) non conta la paternità di un’invenzione, ma la data del deposito della domanda di registrazione.
Il marchio originale legato all’ “errore bello” del figlio è stato registrato dal padre di Matteo – Marco Trovò – solo il 29 febbraio scorso, ultimo di quattro richiedenti. Due domande risalgono a venerdì 26 febbraio, due giorni dopo lo scoppio del caso mediatico e virale sui social (una domanda depositata a Torino, l’altra a Trani), la terza è stata presentata sempre lunedì 29, ma nel Barese, da un negozio di scarpe di Gravina di Puglia (marchio “petalosa” scritto in maiuscolo di vari colori per il settore pelle e cuoio) e ha valenza comunitaria, a differenze delle altre tre nazionali.
«L’Uibm verificherà gli aspetti formali e salvo palesi similitudini tra i quattro marchi accetterà tutte le domande e tutte saranno tutelate, anche se in caso di conflitto farà fede la data di deposito. È da mettere in preventivo fin d’ora che i quattro logo possano finire in contrasto in futuro, è materia da tribunali delle imprese», spiega Mauro Giannattasio, il dg della Camera di commercio di Ferrara che ieri ha organizzato una conferenza stampa per presentare il marchio creato dal piccolo vip: una margherita con 22 petali (quanti i compagni di classe), una corolla che è un planisfero e un sole con occhi e sorriso (a rappresentare lo stesso Matteo).
«È un marchio non commerciale affidato al disegno di un bambino, è difficile da confondere – sottolinea il numero uno dell’ente camerale estense, Paolo Govoni – e la famiglia Trovò l’ha depositato non per lucrarci ma con l’idea di costituire una Onlus che raccolga i proventi per fare beneficenza alla scuola elementare e alla comunità di Copparo. Questa vicenda deve però diventare anche una lezione nel Paese per capire l’importanza della proprietà intellettuale e industriale e della relativa tutela. I beni intangibili sono oggi l’asset strategico più importante, perché certificano non solo la capacità di innovazione ma anche la reputazione di un soggetto».
Il sindaco di Copparo, Nicola Rossi, tramortito dalla ribalta internazionale – come tutti nella cittadina estense di 17mila abitanti tra il Po Grande e il Po di Volàno – aspetta il ritorno alla normalità per valutare l’impatto reale di petaloso (ci vorranno comunque almeno un paio di mesi per il responso dell’Ufficio italiano brevetti sul marchio). «Noi siamo la terra del turismo lento – ricorda il primo cittadino – e io spero che questa inattesa visibilità e questo marchio petaloso possano aiutarci anche dal punto di vista turistico».
Lavagne Lim alla scuola Marchesi, campetti da gioco all’oratorio di quartiere, qualche altalena e scivolo in più al parco comunale: sono questi i progetti della famiglia Trovò se e quando il marchio sarà riconosciuto dal ministero dello Sviluppo economico e se e quando si raccoglieranno diritti per il suo utilizzo (la famiglia non esclude di lasciare a libera offerta il corrispettivo per l’utilizzo). «È stato registrato anche un sito Internet petaloso.it (che rimanda al progetto behappy, ndr) e il dominio ci è stato appena offerto gratuitamente da chi l’ha creato», racconta il padre di Matteo, un dinosauro dei social, ci tiene a sottolineare per far capire la sua estraneità dal battage mediatico. «Mio figlio ha otto anni, è un bambino solare e io chiedo solo di non togliergli la gioia di un errore sul quaderno diventato un successo. Del marchio, del ritorno economico possiamo anche fare a meno, della bella storia di cui è stato involontario protagonista no».